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Ansia da prestazione, dentro e fuori dal lavoro

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Stagione 3 - Puntata n° 63
Anteprima della puntata:

Ansia da prestazione, aspettative elevate, pressione, voglia di riscatto personale. Si può andare oltre? Oppure si può imparare a superarle?

10 CONCETTI EMERSI DALLA PUNTATA

  1. L’ansia da prestazione non è solo legata al lavoro, ma attraversa molte sfere della vita quotidiana.
  2. Molti vivono con la pressione costante di “dover fare bene” anche nelle relazioni o nel tempo libero.
  3. L’insicurezza di fondo si trasforma in ipercontrollo e sovraccarico.
  4. Le aspettative interne sono spesso più dure di quelle esterne.
  5. Confrontarsi continuamente con gli altri aggrava il senso di inadeguatezza.
  6. L’ansia da prestazione può generare blocchi o iperattività disfunzionale.
  7. La ricerca di approvazione esterna alimenta la paura di “non essere abbastanza”.
  8. Molte persone non riconoscono l’ansia finché non arriva al corpo o al sonno.
  9. Uscire dalla logica della prestazione richiede uno sguardo più ampio su sé stessi.
  10. La gentilezza verso i propri limiti è uno strumento concreto per ridurre l’ansia da prestazione.
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GLI SPUNTI NATI DA QUESTA LIVE

1. L’ansia da prestazione non riguarda solo il lavoro, ma ogni ambito in cui ci si espone

Il bisogno di “fare bene” può manifestarsi in riunioni, conversazioni, perfino nella vita sociale.

  • Esempio pratico: Una voce racconta che si sente in ansia anche quando deve rispondere a un messaggio vocale, per paura di non dire la cosa giusta.
2. Spesso l’ansia non nasce da pressioni esterne, ma da pretese interne

La voce interiore che chiede sempre di “fare meglio” è più severa di qualsiasi capo.

  • Esempio pratico: Una voce dice che anche se il suo team è comprensivo, lei vive ogni errore come una prova di inadeguatezza personale.
3. L’ansia aumenta quando non c’è chiarezza su cosa ci si aspetta da noi

L’ambiguità sui ruoli e sugli obiettivi lascia spazio a paure e fantasie di fallimento.

  • Esempio pratico: Una voce racconta che in un progetto vago ha iniziato a immaginare continuamente scenari negativi, proprio perché nessuno le dava conferme.
4. La performance viene spesso confusa con il valore personale

Si tende a pensare “valgo se riesco”, alimentando cicli di stress e controllo.

  • Esempio pratico: Una voce dice che vive male ogni feedback critico perché lo interpreta come un giudizio su chi è, non su cosa ha fatto.
5. L’ansia si riduce quando si accetta che non si può essere sempre “sul pezzo”

L’idea di funzionare sempre al massimo è irrealistica e dannosa.

  • Esempio pratico: Una voce racconta che ha iniziato a prendersi pause esplicite prima di momenti importanti, anche solo per respirare 5 minuti da sola.
6. L’ansia da prestazione cresce in ambienti dove si premia solo il risultato finale

Se non si valorizza il processo, ogni errore intermedio diventa fonte di paura.

  • Esempio pratico: Una voce dice che nel suo team si mostra solo il lavoro finito, e questo crea un clima di competizione silenziosa e pressione costante.
7. Parlare apertamente dell’ansia riduce l’isolamento

Sapere che anche altri vivono la stessa fatica crea connessione e leggerezza.

  • Esempio pratico: Una voce racconta che ha condiviso con il suo team un momento di forte stress, e da lì sono nate conversazioni più autentiche tra tutti.
8. L’ansia da prestazione non si elimina, ma si può imparare a riconoscerla e modularla

Non serve combatterla, ma darle spazio e comprendere la situazione.

  • Esempio pratico: Una voce dice che ha imparato a distinguere quando l’ansia è segnale utile (per prepararsi) e quando è solo un disturbo (che può ignorare).

DOMANDE GENERATIVE

Le domande che hanno generato un dialogo

Che forma prende l’ansia da prestazione nella nostra vita quotidiana?

Ha stimolato una condivisione trasversale: dall’ambito professionale a quello sociale e affettivo, dove il bisogno di “essere all’altezza” condiziona anche gesti semplici o relazioni intime.

Perché sentiamo il bisogno di dimostrare sempre qualcosa?

La discussione ha toccato il tema del riconoscimento esterno, della paura di deludere e della fatica a sentirsi sufficienti anche quando non c’è una vera richiesta dall’esterno.

Come reagisce il corpo quando l’ansia si attiva?

È emerso un elenco concreto di segnali fisici: tensione muscolare, insonnia, difficoltà digestive, tachicardia, mancanza di concentrazione.

In che modo l’ansia da prestazione si infiltra anche nei momenti di svago?

Il gruppo ha portato esempi di vacanze, hobby o relazioni vissuti come “occasioni da rendere perfette”, trasformandole in nuove fonti di pressione.

DOMANDE TRASCURATE

Le domande che erano interessanti ma sono state poco considerate

L’ansia da prestazione è un tratto personale o un prodotto sociale?

Domanda lasciata sullo sfondo: poteva aprire un confronto sul ruolo del contesto, dei social, del lavoro competitivo e dei modelli educativi.

Abbiamo mai sperimentato una prestazione vissuta con leggerezza?

Spunto non approfondito: nessuno ha raccontato episodi in cui si è sentito libero dalla pressione pur agendo in pubblico o sotto osservazione.

Che differenza c’è tra dare il massimo e forzarsi continuamente?

È stata accennata ma non sviluppata: avrebbe potuto chiarire il confine tra impegno sano e sforzo cronico autoimposto.

Chi o cosa ci fa sentire in dovere di performare anche quando non serve?

Domanda interessante non raccolta: nessuno ha esplorato il peso implicito di aspettative familiari, collettive o interiorizzate nel tempo.